lunedì 27 settembre 2010

Abitare "alla fiamminga"



Abitare alla fiamminga significa:

vivere in una casa con la facciata di mattoni rossi con un piccolo giardinetto davanti (la grande thuya è opzionale)
abitare in una casa strettissima (larga appena cinque metri)
avere un salotto largo tre metri
non poter invitare più di dieci persone alla volta
vivere su tre piani
vivere in verticale anzichè in orizzontale
non poter trasportare nulla sulle scale troppo anguste
traslocare mobili dalle finestre
munirsi di panieri per trasportare gli oggetti da un piano all'altrro
avere 59 gradini da salire per andare da cima a fondo (senza contare la soffitta)
avere stanze, stanzine e stanzette di misure differenti
avere anfratti misteriosi, camini e canne fumarie ovunque
avere porte e finestre dappertutto
dover costruire mobili su misura
avere un giardinetto sul dietro che confina con altri giardinetti uguali
avere i rami degli alberi in comune con i vicini
avere le finestre protette solo da tende (e a volte nemmeno quelle)
avere sempre piante sui davanzali
guardare ed esser guardati come in un teatro quando la sera si accendono le luci

avere una casa irritante, luminosa divertente
significa avere una casa che mi assomiglia


ascoltando Ella & Duke tra una rampa e l'altra:

sabato 25 settembre 2010

La poesia delle cose: Joseph Cornell




J.Cornell, Paul et Virginie

Sicuramente legato al surrealismo, sicuramente colto, informato delle ultime tendenze dell'arte contemporanea:  non è solo per questo che mi piace Joseph Cornell.

Non lo conoscevo e ne rimasi incantata, vedendo una mostra a Firenze, in Palazzo Vecchio, molti anni fa.
La malia ancora funziona.
Timido, appartato, Cornell passa la sua vita (1903-1972) isolato, solitario, quasi prigioniero del suo appartamento di New York, dove vive con la madre e il fratello. 
Passa le sue giornate girando per la città, rovistando nei negozi di rigattieri, nelle librerie dell'usato, alla ricerca di oggetti di piccole cose che abbiano però un'aura, un significato. 
E poi li compone.
Realizza film fatti di scarti di pellicole, collages e, soprattutto, le sue scatoline in legno con un lato di vetro in cui inserisce, accostandoli liberamente,  frammenti, un tempo preziosi, ritrovati per caso.

J.Cornell,Cassiopea

Souvenirs,  stampe, pagine di libri, lievi fragili  oggetti si uniscono ed evocano un  modo immaginato, una vita più sognata che vissuta, la nostalgia.
Un pezzo di tulle, delle paillettes, possono alludere a un balletto. Frammenti di carta da lettere,   etichette di vecchi alberghi e la silhouette di un pappagallo colorato fanno pensare a viaggi esotici. 
Una carta stellata su fondo blu, una pallina bianca  fanno intravedere un'intera costellazione, Cassiopea....

Poesia allo stato puro.





Yo Yo Ma e Chris Botti, My favorites things




mercoledì 22 settembre 2010

La doppia vita del dr.Gibaud





Il dottor Gibaud, con le sue fasce elastiche, ha sempre occupato nella storia sanitaria familiare, insieme al confetto lassativo Falqui dal dolce sapore di prugna e alla pomata Vicks Vaporub, da stendere con qualche carezza e un panno di lana caldo su infantili toraci, un ruolo insieme curativo e consolatorio.
« Ti fa male la schiena, il ginocchio o la pancia?...: consigliavano le nonne o le zie- metti subito la fascia del dottor Gibaud ».
Il calore irradiato dalla fascia si univa alle parole di conforto e il piccolo dolore trovava la sua cura.

Qual è stata la mia meraviglia quando, ho trovato (o creduto di trovare) l'integerrimo dottor Gibaud implicato (con il seguito delle sue cavigliere, polsiere, ginocchiere o panciere...) in una pratica erotica un po' particolare.

Da anni vivo in una città francofona e sono abituata ai negozi farmaceutici di sanitari che espongono in vetrina scarpe ortopediche, garze, cerotti e l'immancabile manichino nero vestito solo delle fasce bianche del dottor Gibaud, con il nome di Bandage.
Quando in una conversazione– devo ammetterlo- un po' osé, ho sentito un termine dal suono simile che si riferiva a uno stuzzicante ginnico esercizio di erotismo, lo sconcerto mi ha invasa.
Ho subito immaginato il manichino implicato in festini ambigui e tutta la produzione- fino ad allora usata da nonne, zie e anziane parenti per lenire i dolori di muscoli, tendini o nervi infiammati- assumere una connotazione sulfurea e, perfino, l'innocente cintura, conservata, protetta da naftalina, in vetusti armadi familiari, diventare oggetto di oscuri desideri .

È stato un attimo di vertigine, di sbandamento: tutto un mondo di onorevoli lenitivi  si rovesciava.
Stavo per svelare quello che pensavo si celasse sotto oneste apparenze, mettendo in guardia gli innocenti lettori del blog affetti da reumatismi o da mal di schiena, quando mi sono resa conto dell'equivoco : di bOndage erotico e non di bAndage si trattava (le vocali - è chiaro - hanno la loro importanza ).

E ora faccio pubblica ammenda, restituendo al Dr. Gibaud una reputazione  senza macchia.



Gershwin Let's call the wohle thing off


Vestivamo alla "montanara"




Quando era piccola le vacanze estive le trascorrevo al mare, in Versilia, ma, non appena possibile, mio padre mi trascinava, insieme alle mie riluttanti sorelle, in montagna. Era convinto che le aspre cime alpine fossero un ambiente più idoneo a temprarci il carattere, abituarci a modelli di vita più rudi e a sottrarci alle insidie dello shopping e degli amori precoci.

Era il tempo in cui l'abbigliamento da montagna, era immutabile di generazione in generazione. La dotazione standard, uguale per uomini e donne, adulti e bambini, codificata da decenni d'uso e da norme inderogabili, comprendeva :

- pantaloni in velluto a coste « alla zuava »,tagliati sotto il ginocchio, accompagnati da calzettoni di lana che si arrestavano a mezza rotula, provocando arrossamenti e lacerazioni stoicamente sopportate
- cintura e /o bretelle elastiche
- camicia unisex di flanella scozzese
- maglione di lana grossa lavorato ai ferri con disegni adeguati: stelle alpine o genziane (per le donne), abeti, teste di cervi e, talvolta, – assai più raro- un isolato stambecco (per gli uomini). 
Se lavato a temperatura troppo alta il maglione, infeltrito e ridotto a proporzioni mignon, passava al figlio neonato di qualche parente, non ancora dotato di corredo da montagna
- giacca in lana cotta tirolese talmente compatta da impedire il passaggio di ogni, benché minimo (ancorché benefico e ritemprante) soffio d'aria
-giacca a vento, da usare nelle giornate meterologicamente incerte, con cerniera destinata, inevitabilmente, a incepparsi, oppure a impigliarsi nei fili di lana colorati del maglione
- scarponi pesantissimi di pelle scamosciata e suola di gomma rinforzata che gravavano ai piedi come due zavorre cementizie, ancoravano a terra e stringevano la caviglia in una morsa d'acciaio
- sciarpa di lana lavorata a maglia da mamme o zie premurose
berretto di lana spesso decorato da un imbarazzante pon-pon oppure, per i più avvezzi, cappello di feltro tirolese, decorato da fascia colorata con stella alpina di stoffa.

complementi indispensabili :

- enorme zaino, talvolta prezioso cimelio militare, con infinite tasche e taschini, tutti dotati di fibbie e laccioli in cuoio, indistricabili
- borraccia con tracolla di pelle, riempita d'acqua e -meno frequentemenre -di superalcolici, nel caso in cui la temperatura calasse in maniera avvertibile
- stecca di cioccolato - di preferenza Toblerone- da mangiare alla prima salita impegnativa o anche, precauzionalmente, alla partenza
- panini ( o meglio fette di pane), laccati da uno spesso strato di burrro e imbottiti con speck e formaggio, da consumare nel sobrio, ma ipercalorico, pranzo al sacco, accompagnati da bottiglie di vino rosso e rallegrato dalle canzoni alpine, intonate all'inizio a pieni polmoni e poi sempre più flebilmente dai più ispirati della compagnia

opzionali :

- il bastone con punta di ferro, tipo alpenstock, acquistato come souvenir in qualche rifugio che, generalmente, finiva per piantarsi nella parte fangosa del sentiero, obbligando a una penosa estrazione oppure all'abbandono
- coltellino svizzero (o finto tale) multiuso in grado di sopperire a ogni necessità
- carta dei sentieri acquistata – secondo tradizione - all'Istituto Geografico Militare di Firenze, in cui erano ancora  tracciate le fortificazioni della Grande Guerra, ma in cui i sentieri risultavano praticamente indecifrabili, destinata a provocare lunghe e penose discussioni ad ogni biforcazione del cammino


Oggi goretex, tessuti tecnici, telefonini con GPS incorportato, vezzosi zainetti e racchette per nordic walking hanno quasi soppiantato l'abbigliamento tradizionale. 
Il cioccolato lo si preferisce dietetico, per bere si usano bottigliette di plastica, il pranzo lo si consuma in qualche malga ben attrezzata e perfino le canzoni da montagna sono sostituite dagli MP player o dagli I-pod.

Ogni tanto, però, mi piace indossare il vecchio abbigliamento e, vagando sui sentieri o sulle alte vie, mi capita di riconoscere, sudati e ansanti, altri nostalgici in pantaloni alla zuava e maglione. Un senso di commossa solidarietà mi invade allora il cuore.

Non c'è bisogno di parole, basta uno sguardo, un cenno d'intesa e poi ognuno se ne riparte più contento per il proprio sentiero, magari accennando, a mezza voce, « Lassù sulle montagne tra boschi e valli d'or... »




oppure:

martedì 7 settembre 2010

Gli scarponi: una metafora ?



Che bellezza quando si sta per partire per la montagna cominciare a preparare i vecchi scarponi.

Per mesi interi, a volte per anni, non li indossiamo ma quando c' è bisogno, quando si tratta di fare insieme un viaggio, una passeggiata in luoghi impervi, una scalata un po' aspra ...ecco che i vecchi scarponi si adattano perfettamente al piede, si abituano immediatamente al nostro passo, seguono le esigenze del nostro cammino.

A volte - è vero- li abbiamo abbandonati per scarpe più eleganti, più nuove, forse più belle e appariscenti e  più alla moda, ma... che sforzo conformarle ai nostri piedi !
Non ci conoscono, non sono abituate alla nostra maniera di percorrere i sentieri, non sono affidabili.
E poi quanta fatica per la manutenzione, soprattutto i primi tempi .
Bisogna starci dietro, usare i modi adatti, mentre con i vecchi scarponi, nessun problema: la fase d'adattamento è finita.

E che dire delle scarpe acquistate via internet, quelle comprate sulla base della sola foto, quelle che lì per lì ci sembravano stupende ma che non abbiamo nemmeno avuto l'occasione di provare? Quando arrivano a casa spesso sono una delusione: un bel pacchetto un bell'involucro ma cercate di indossarle.
La pelle è dura come cartone, si disfano subito, non hanno la resistenza dei cari vecchi scarponi.

Facile, forse scontato:  gli scarponi come metafora dei vecchi amici e dell'amicizia.




Comunque :

ma anche :