mercoledì 24 giugno 2015

I fiori di Rebecca Louise Law




Oggi nessun racconto, solo immagini
In questi giorni di fine giugno, quando la fioritura primaverile è finita e- almeno a Bruxelles- quella estiva si fa ancora attendere, ho pensato di rivestire il blog dei colori delle composizioni floreali di Rebecca Louise Law, "un'artista inglese che compone installazioni scultoree, usando materiali naturali", come lei stessa si definisce. 
Come in questa "The Yellow flower", per esempio.  


Figlia di un giardiniere, che le ha trasmesso l'amore per le piante, dopo aver frequentato la facoltà di belle arti dell'università di Newcastle, ha scelto di creare le sue opere, usando esclusivamente fiori e di esplorare, così, il rapporto tra uomo e natura.
Dapprima, ha cercato di ricreare, in piccole composizioni sotto campane di vetro, le nature morte della pittura fiamminga, poi è passata a installazioni più grandi e complesse, che  ha esposto in gallerie d'arte e centri culturali di tutto il mondo.

Le sue opere richiedono un gran numero di fiori essiccati e lunghe ore di lavoro per montarli, con un  leggero filo di rame, secondo un disegno che ne esalti qualità e colori.
I risultati che ottiene sono spettacolari.
Come qui, nel "Flower Garden" creato a Londra nel 2014, con più di quattromila fiori secchi che ricadono dall'alto come una pioggia colorata 



Oppure qui, in un'installazione intitolata "Outside In ", realizzata, da gennaio ad aprile del 2014, per il Viacom Centre a Times Square a New York, dove decine di volontari hanno collaborato con lei, scordando il freddo e la neve di fuori per infilare nel filo di rame e sospendere al soffitto migliaia di fiori variopinti 





Nel 2014, a Londra, per la  Guildhall Library ha scelto  di creare due cascate di ottomila papaveri rossi,  che, con il loro colore vivace, contrastassero col bianco immacolato delle pareti


Sempre a Londra, nella Royal Academy, ancora  nel 2014, nella sua "White tulips",  ha pensato di appendere al soffitto duemila tulipani bianchi, che  ben si armonizzano con l'arredamento ottocentesco:




Invece, alla Coningsby Gallery, i colori variopinti dei garofani e dei crisantemi evocano, forse, quel prato pieno di fiori e di margherite che, come racconta lei stessa, le ha dato la prima idea di riproporre nelle sue opere la fragile bellezza dei fiori.



Per ricreare, all'Onassis Cultural Centre di Atene, tra settembre 2014 e giugno 2015, la magia e la  spontaneità di un "Grecian Garden", sono stati necessari erbe e fiori di ventisette varietà diverse




A Bruxelles, al Teatro de la Monnaie,  nel 2013 grandi ortensie blu, sospese, come un aereo sipario,  tra palcoscenico e platea,  hanno aumentato la suggestione della musica





C'è un  tale incanto in queste installazioni che poco importa stabilire se siano arte, design o chissà cos'altro. A classificare ci pensino pure i critici. 
In giornate  non facili, come ogni tanto capita di trascorrere, a me le opere di Rebecca Louise Law hanno regalato sempre un momento di pausa e di leggerezza.
E non è poco.








Per informazioni sulla biografia e le opere di Rebecca Louise Law un link è qui 


mercoledì 17 giugno 2015

L'arte di maritare tre figlie, ovvero "The Ladies Waldegrave" di Joshua Reynolds




Un ritratto di Joshua Reynolds (1723-1792): “The Ladies Waldegrave”, ora conservato a Edimburgo alla National Gallery of Scotland.
Sullo sfondo di una tenda rossa e di un balcone aperto su uno scorcio di paesaggio, tre giovani donne vestite di bianco con le loro parrucche incipriate siedono quietamente intorno a un tavolo intente a ricamare. 
I volti, imbiancati di cipria, sono ravvivati da un tocco di rosso sulle guance. 


Le tre giovani sono sorelle, figlie di Lord Waldegrave e di Lady Maria Walpole: la ventenne Carlotta Maria è quella che tiene in mano una matassa di seta, la diciannovenne Elizabeth Laura avvolge con attenzione il filo, mentre la più piccola, la diciottenne Anna Horatia, è impegnata in un merletto.
Siamo nel 1780 e la madre delle ragazze, Maria, allora Duchessa di Gloucester, con qualche decennio di anticipo sulla Mrs.Bennet di "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen, ha in testa un pensiero fisso: trovare marito alle figlie. 
In effetti, all'epoca, la concorrenza tra le giovani aristocratiche è spietata e, in più, sulla duchessa di Gloucester pesa un passato non proprio "comme il faut". 
Figlia illegittima di Edward Walpole e della sua chiacchieratissima amante è stata cresciuta nella famiglia del padre. 
Bella, anzi, "l’incarnazione stessa della bellezza", stando alla definizione coniata dallo zio Horace Walpole, è riuscita a fare un bel matrimonio, sposando il più anziano e assai meno avvenente Lord Waldegrave. 
Ma, purtroppo, è rimasta vedova giovanissima con tre figlie piccole da tirar su. 
All'epoca del ritratto, la bella Lady Maria si è risposata, da qualche anno, con il Duca di Gloucester, fratello minore del re, ma il matrimonio è stato osteggiato dalla famiglia reale che, in un primo momento, ha addirittura bandito la coppia dalla corte. 
Anche se i rapporti con il re sono migliorati, qualche ombra è rimasta e in una società dove conta soprattutto la rispettabilità, anche un ombra è di troppo. 

La duchessa sa bene che, nella sua situazione, trovare un buon partito per le tre figlie di primo letto non sarà facile: quella che sta per intraprendere è una vera e propria battaglia e, come in tutte le battaglie, ha bisogno di una strategia. 
Da madre previdente, comunque, ha già in mente un piano e si è procurata anche un alleato nello zio, Horace Walpole. 
I due concordano sul fatto che i balli, le feste, o le scampagnate, insomma, le occasioni "canoniche"di incontro con nobili scapoli, non sono sufficienti: per superare le rivali più agguerrite occorre un'idea in più.

Una soluzione per ottenere il massimo risultato c’è, anche se costosa: commissionare un ritratto delle tre ragazze al più celebre ritrattista del tempo, Joshua Reynolds, ed esporlo a Strawbery Hill, la dimora di Walpole, famosa in tutta Europa per la sua architettura neo-gotica e frequentata da uomini della migliore società
Niente di meglio che appendere alla parete un ritratto che mostri il fascino delle ragazze e la loro disponibilità ad accasarsi in modo confacente, ma che non sia né sfacciato, né troppo esplicito.
Joshua Reynolds, allora artista acclamato e, per di più, Presidente della Royal Accademy of art, sa bene cosa fare. 
Comincia col dispiegare nel dipinto non solo tutta l’abilità acquisita nel corso del un lungo soggiorno in Italia, dove ha studiato i grandi maestri del passato, ma anche la capacità di elaborare, nei suoi ritratti, immagini lusinghiere in grado di  rappresentare gli aspetti migliori dei suoi modelli.
Impiega, poi, ogni sforzo per realizzare una composizione che convinca i futuri corteggiatori che le tre sorelle saranno mogli perfette per ogni gentiluomo

Innanzitutto- dettaglio non da poco- tutt'e tre sono più che graziose.
Nella sua tela, dunque, fa sì le giovani donne incarnino, come meglio non si potrebbe, l'ideale della bellezza dell’epoca. 
Sia pure aiutata da un’abbondante spruzzata di cipria, la loro carnagione appare del candore imposto dalla moda del tempo. 
Il bianco delle vesti allude in maniera discreta (ma non troppo) a un'altra qualità indispensabile per una giovane ammodo: l'illibatezza. 
E, poi, sceglie di non  raffigurare le ragazze in ozio né tanto meno mentre chiacchierano o si dedicano a svaghi sconvenienti, ma di rappresentarle nell'attività più consona a delle giovani tranquille e virtuose quali sono: il ricamo. 
Belle, educate, operose: le qualità richieste a una moglie ci sono tutte. 

Ma, per fortuna, il ritratto, nelle mani di un vero artista, diventa ben di più di un avviso pubblicitario
Da gran pittore qual è, Reynolds avvolge le sue modelle nella luce e nel colore, crea, col suo pennello, contrasti e armonie luminose come il bianco su bianco delle morbide vesti di mussolina contro il candore della pelle e fa del dipinto un capolavoro
Il ritratto, esposto alla Royal Academy nel 1781, è un vero successo, per il pittore e, soprattutto, per Lady Maria che vede avverarsi, poco dopo, le sue più rosee speranze: Carlotta Maria sposerà il cugino Waldegrave, Elizabeth Laura un ricco duca e Anna Horatia un valoroso ammiraglio. 
Insomma, grazie anche alla pittura, il lieto fine sarà degno di un romanzo dell'epoca.





mercoledì 10 giugno 2015

Padre e figlia: il "Ritratto di Clara Serena Rubens"




Una piccola tela (37x27 cm) conservata a Vaduz nella collezione del principe del Liechtenstein




Il ritratto di una bambina di cinque o sei anni con le guance arrossate e i capelli un po' spettinati. 
Il volto spicca sul fondo grigio-verde e sull'ampio colletto bianco dell'abito, appena abbozzato, illuminato da piccoli tocchi di luce sul naso e sulla fronte.
La bambina non sembra in posa per un ritratto ufficiale e non ha nemmeno l'aria intimidita. Anzi, lancia uno sguardo malizioso e accenna un sorriso complice, senza alcuna soggezione.
Per forza! Chi la ritrae è suo padre, Pieter Paul Rubens (1577-1640). 


Siamo nel 1616, la bambina si chiama Clara Serena (Clara in onore della nonna materna). Nata nel 1611 è la figlia maggiore di Rubens e di Isabella Brant. 
I due si sono sposati nel 1609, lei appena diciottenne e lui più vecchio di una quindicina d'anni; tutti dicono che si è trattato di un matrimonio d'amore, anche se- sussurrano- conveniente per tutt'e due, tra un pittore ormai affermato e la figlia di uno dei più influenti dignitari della città.
Al tempo del ritratto, Rubens, insieme alla famiglia (nel frattempo è nato anche un altro figlio), dopo aver vissuto qualche anno a casa dei suoceri, si è trasferito nella nuova comoda abitazione che si è fatto costruire in uno dei quartieri più signorili di Anversa.
All'epoca, è uno degli artisti più famosi d'Europa: avere un suo dipinto è diventato per molti uno status symbol. 
Di sicuro, non deve più cercare commissioni, anzi, ha qualche problema a portare a termine tutte quelle che gli vengono richieste, dai ritratti, ai dipinti sacri e mitologici, alle grandi decorazioni per le chiese. 
Ormai si comporta come un signore di quelli che ha conosciuto nel suo lungo soggiorno italiano, soprattutto nel periodo in cui è stato al servizio dei Gonzaga, svolgendo per loro anche delicati incarichi diplomatici. 
La nuova casa l'ha progettata lui stesso sull'esempio delle nobili dimore italiane: mentre la facciata sulla strada e l'abitazione vera e propria sono nel tradizionale stile fiammingo, lo studio ha una facciata che sembra un palazzo del Rinascimento. 
Le due sezioni sono unite da un bel giardino di statue e di rose e da un portico monumentale, a cui, negli anni successivi, aggiungerà una galleria per le sculture. 
Insieme formano un edificio ispirato all'antichità, che- ammettono anche i più malevoli- non ha pari nell'Anversa del tempo. 

Nello studio, Rubens riceve i suoi illustri visitatori, non solo committenti, ma anche appassionati d'arte, filosofi e scienziati. 
Lì, ha organizzato il suo atelier con metodi da piccola industria, impiegando, per far fronte alle commissioni, un gran numero di collaboratori. 
Lì, compare nella sua veste ufficiale e un po' pomposa di uomo colto, che parla varie lingue, sempre ben abbigliato, educato a stare alla pari con ricchi borghesi e aristocratici.
Ma il luogo dove, probabilmente, si sente più a suo agio è la parte privata della casa, quella destinata alla famiglia, dove ha previsto tutte le comodità: stanze piastrellate in bianco e nero, ampi camini, belle camere con letti ad alcova, una comoda sala da pranzo e, dappertutto, robusti armadi pieni di stoviglie di peltro o di bella biancheria, segno visibile della prosperità familiare. 
É in quelle stanze che- c'è da immaginarselo- Clara gioca con la vivacità della sua età e chissà che, a volte, non si spinga  fino allo studio, attratta dal rumore delle voci e dall'odore di olio e di vernici.
Forse un giorno è arrivata allegra e tutta di corsa proprio lì, nello studio,  tanto che Rubens ha deciso di ritrarla subito, più velocemente possibile, cercando solo di restituire nella tela la spontaneità di quel momento.
Il ritratto, con tutta probabilità, gli è stato richiesto dai nonni materni per avere un ricordo della bambina, dopo il trasferimento nella nuova casa, tanto che, qualche anno dopo, figurerà descritto negli inventari appeso a una parete del loro salotto buono.

Per Rubens, abituato alle commissioni ufficiali, alle lunghe ore di posa alle chiacchiere obbligate, quel ritratto destinato alla famiglia, rappresenta un momento di distensione, in cui, fuori da ogni retorica e da ogni intento celebrativo, può usare tutta la sua facilità di dipingere, in completa libertà, senza filtri, con una freschezza e un'immediatezza che tradisce tutto il suo affetto.
Per questo, trascura l'abbigliamento, che nei ritratti ufficiali era un segno importante di ruolo sociale: qui non c'è nessuna trina e nessun fiocco, solo un volto di bambina, raffigurato da vicino, in primo piano. 
E in quel volto Rubens mette tutta la sua capacità di usare la luce e il colore e tutta l'abilità del suo pennello, restituendoci un'immagine vera della tenerezza e dell'intimità del rapporto tra padre e figlia.
Mentre nelle centinaia di lettere della sua corrispondenza rivela molto poco dei suoi sentimenti, in questo ritratto non solo lascia trasparire, ma quasi si abbandona alle emozioni. 
Ma è troppo pittore (e grande pittore) per non consegnarci anche un capolavoro.

Clara Serena morirà qualche anno dopo, nel 1623, a soli dodici anni. 
Della sua breve vita, nessuna traccia nei documenti: l'unica testimonianza resta affidata alla pittura del padre che ha saputo fissare per sempre un momento di amore e di gioia condivisa.






Proprio nella casa di Rubens (la Rubenshius), ora museo, è aperta ad Anversa dal 28 giugno al 28 settembre una mostra  che raccoglie tutti i ritratti dei familiari sotto il titolo di "Rubens privato" (qui)

lunedì 1 giugno 2015

I Mesi degli Arazzi Trivulzio: giugno





Le giornate lunghe, il calore del sole, l'aria dolce della sera ci dicono che siamo ormai a giugno. 
È il sesto mese dell'anno ed è arrivato il momento di vedere cosa ci riserva la sesta immagine del calendario che ho scelto per quest'anno: i dodici arazzi del Ciclo Mesi, conservati nel Castello Sforzesco di Milano, commissionati agli inizi del Cinquecento dall'allora governatore della città, Gian Giacomo Trivulzio ed eseguiti dalla manifattura di Vigevano, su disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (1465 ca-1530).



L'arazzo con Giugno è il più danneggiato della serie:  lo sfondo è stato in gran parte rifatto nel corso di un restauro settecentesco. 
Come avviene di solito, la scena è inquadrata da una cornice con gli stemmi dei Trivulzio e delle famiglie ad essi imparentate.
In alto, al centro, spicca il grande stemma dei Trivulzio mentre ai lati, compare la raffigurazione del Sole e del Cancro, segno zodiacale del mese. 
Il verde delle foglie degli alberi carichi di ciliegie, che dominava nel mese di maggio, si trasforma qui nei colori dell'estate: il giallo del grano maturo e il rosso del baldacchino che copre lo schienale del trono. 
Giugno siede al centro, come un antico re, incoronato da una ghirlanda di foglie di quercia e con in mano uno scettro.
Il caldo e la bella  stagione sono arrivati e le messi nei campi sono pronte per la mietitura, come spiega l'iscrizione in lettere capitali nella targa ai piedi del trono:
"Tondere prata messibus/ falcem aridis supponere/ spe aequa labori agrestibus/ dat iunius cura annua: giugno consente per cura annua agli agricoltori, con una speranza pari alla fatica di tagliare i prati e di falciare le messi asciugate (dal sole)"
A sinistra, i contadini vestiti con corte tuniche all'antica e a piedi nudi, sono impegnati, con i loro falcetti a lama ricurva, nel duro lavoro della mietitura; del gruppo fa parte anche una donna che tiene in mano un bastone.


A destra, gli uomini sono occupati in un'altra attività agricola tipica del mese, quella della fienagione. 
I particolari sono resi con una tale accuratezza da raffigurare perfino- alla cintura dell'uomo con la tunica blu- un bossolo portacote, cioè il recipiente che conteneva la pietra per affilare la lama della falce.
Sullo sfondo, due carri tirati da buoi trasportano il fieno.
Come nelle altre scene del Ciclo, Bramantino unisce citazioni dall'antichità classica, nelle vesti o nel trono di Giugno, a notazioni più realistiche, come l'espressione stanca del volto dell'uomo in primo piano che sembra falciare, spossato dalla fatica.

In basso, due secchi colmi di latte, una tovaglia, su cui sono posati  quattro pani alle estremità e, al centro, una cosiddetta zucca del pellegrino, usata come contenitore per l'acqua, compongono una frugale tavola per il pasto dei mietitori. 
E, inseme, formano una sorta di astratta natura morta che conferisce a tutta la scena il carattere di una raffigurazione cristallizzata e senza tempo.








Un approfondimento delle vicende storiche e dell'iconografia degli arazzi è in G.Agosti e J.Stoppa, I Mesi del Bramantino, ed.Officina Libraria 2012.