giovedì 1 dicembre 2016

Tutto l'anno in una vetrata: dicembre



Sembra impossibile, ma (fin troppo velocemente) siamo arrivati all'ultimo mese del 2016 ed è giunto il momento di staccare il dodicesimo "foglio" del calendario che ho scelto per quest'anno: il Ciclo dei mesi della vetrata realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.
Eccoci, dunque, pronti a vedere cosa ci riserva il mese di dicembre:




Stavolta nessun contadino occupato in una di quelle attività agricole che, all'epoca, scandivano il corso dell'anno e in cui tutti potevano riconoscere il trascorrere delle stagioni.
Il Mese è raffigurato come un re con tanto di corona, abbigliato con una lunga tunica rossa, mentre- seduto al centro di una tavola imbandita, dove si distinguono una testina di maiale, alcuni pani con la crosta decorata con una croce, una caraffa di vino e dei pesci-  è intento ad alzare una coppa come in un brindisi.
Il banchetto forse allude alle feste di Natale, uno dei pochi momenti dell'anno, in cui anche i più poveri trovano la maniera di celebrare con una tavola meno misera che nel resto dell'anno e i più ricchi ricevono omaggi e doni dai loro pari. 
Un mese, dunque, raffigurato sotto il segno della festa e dell'allegria del breve periodo in cui, una volta tanto, si celebra l'abbondanza e che può servire di augurio e di speranza per l'anno che verrà.  





martedì 1 novembre 2016

Tutto l'anno in una vetrata: novembre




Primo del mese e nuovo foglio del calendario che ho scelto per quest’anno: il Ciclo dei Mesi della vetrata realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.
L’ignoto maestro vetraio, evidentemente più abile nel tagliare le tessere di vetro, nel pitturarle a grisaglia e nel montarle, che nel leggere, ha sbagliato a copiare la scritta che denomina il mese e che forse compariva nel cartone preparatorio: al posto di "novembre" ha scritto "dicembre".
Ai fedeli e ai visitatori che entravano nella cattedrale, e che per lo più non sapevano né leggere né scrivere, però poco importava: riconoscevano il mese non dal nome, ma dalla sua rappresentazione e sapevano bene che novembre era associato alla macellazione del maiale che tradizionalmente si svolgeva a partire dalla festa di San Martino.
Ecco dunque come si presentava e tuttora si presenta ai nostri occhi il Mese di novembre.


Il protagonista della scena è, appunto, il maiale, raffigurato in primo piano, così come allora lo si vedeva pascolare nelle foreste o vagare per le città con una campanella al collo per pulire le strade dalle immondizie. 
L’aspetto era profondamente diverso da quello odierno. 
Più simile a un cinghiale che al maiale rosa e glabro che si alleva attualmente, mostrava il corpo coperto di setole scure ritte sulla schiena, il grifo appuntito, le orecchie corte ed erette e i canini che emergevano ben visibili dal muso. 
Un mucchio di ghiande steso per terra è destinato ad attirarlo al luogo della macellazione. 
Dietro di lui un uomo con una tunica rossa, forse uno di quei norcini che all'epoca giravano per città e campagne, offrendo i loro servizi, si prepara a stordirlo con una pesante ascia. 
Solo dopo verrà ucciso con un colpo di coltello o di uno stilo appuntito, vibrato tra le costole diritto al cuore o alla gola, recidendo la vena giugulare per raccoglierne il sangue destinato alla confezione dei sanguinacci.
Nella scena non c’è nessuna violenza gratuita: l’uccisione dell'animale è un atto necessario, anzi uno dei momenti più importanti dell'anno, una sorta di festa a cui partecipano tutti, perché il porco è fondamentale nell'economia del tempo. Del maiale, come si diceva in un detto diventato proverbiale, non si butta via nulla, tanto che le sue benemerenze ben note a tutti comparivano enumerate in filastrocche, come quella del Testamento del porco, popolari fin dall'antichità. Avere uno o più maiali, magari allevati nei boschi da un porcaro, era sia per contadini che per i signori un segno di ricchezza e di abbondanza. 
Dopo la macellazione, si poteva contare su una provvista di cibo da usare nei momenti peggiori dell’inverno, aspettando al sicuro la fine della brutta stagione e sperando, come sempre, nel raccolto della primavera. 
Come in tutti i calendari figurati medioevali e rinascimentali, l'uccisione del maiale, insieme alla coltura del grano e della vite, rappresentava uno dei punti fermi del ciclo delle stagioni, segnate dal ripetersi delle attività agricole che ricorrevano allora immutabili e che scandivano in un modo riconoscibile a tutti l'eterno fluire del tempo. 




sabato 1 ottobre 2016

Tutto l'anno in una vetrata: ottobre




Siamo già al primo del mese ed è ormai arrivato il momento di staccare il decimo foglio del calendario che ho deciso di usare per quest'anno: il Ciclo dei Mesi realizzato nel primo quarto del XIII secolo nei colori scintillanti della vetrata per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.
Ed ecco, dunque, come si presenta il mese di ottobre:





Nella parte sinistra della vetrata è raffigurata la scena legata ai lavori agricoli del mese: ancora una volta si tratta di un momento della produzione del vino.
Seduto a cavallo di una grande botte, un contadino, in tunica rossa e braghe azzurre, sta eseguendo l'operazione della colmatura, aggiungendo del nuovo vino per compensare quello che si è perso nell'evaporazione. 
Un soggetto che dimostra la perizia raggiunta delle pratiche legate alla produzione del vino e l'importanza che questa aveva nel ciclo dei lavori agricoli.
A destra, tutto lo spazio è occupata dalla raffigurazione del segno astrologico del mese: lo Scorpione, che sembra uscito dritto dritto da una di quelle raccolte di animali favolosi che costituiscono i Bestiari medioevali con il grande corpo verdastro, le quattro zampe, il muso dai tratti antropomorfi e la coda che termina con il profilo di un animale.
Ma il segno non ha nulla di minaccioso, anzi, come avviene nei calendari medioevali, l'astrologia è intimamente legata alla vita quotidiana. 
E quel bizzarro animale fantastico rappresenta, in fondo, solo  la speranza che, anche a ottobre, i benefici influssi degli astri possano garantire la buona riuscita delle attività che si svolgono nell'avvicendarsi dei mesi e delle stagioni.



  

giovedì 1 settembre 2016

Tutto l'anno in una vetrata: settembre




Inizia oggi il nono mese di quest'anno e io, per la nona volta, stacco il foglio del calendario che ho scelto per il 2016, curiosa, come sempre, di vedere cosa ci riserva per settembre.

C'era da immaginarselo: nessuna novità! Come in tutti i Cicli dei calendari figurati medioevali, anche nelle immagini rappresentate nei colori scintillanti della vetrata realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres, settembre è il mese in cui si vendemmia:





Dentro un grande tino due contadini, con le loro tuniche dai colori brillanti nei toni del rosso e del giallo, stanno pigiando i grappoli d'uva.
Anzi, uno di loro li sta ancora cogliendo da un ramo di vite sovraccarico, mentre l'altro, che sorregge con la mano destra un attrezzo agricolo, indossa la cuffietta tipica dell'epoca per difendersi dai primi freddi. 
Settembre, si sa, è in cui le giornate si fanno sempre più brevi e il fresco comincia a farsi sentire. Ma è anche (e soprattutto) il mese del vino.
La vendemmia nel medioevo rappresenta uno dei punti culminanti del calendario dei lavori dei campi e l'occasione di una festa che, finalmente, può coinvolgere tutti, signori e contadini, soprattutto quando, come nella scena raffigurata nella vetrata, i rami sinuosi della vite si curvano sotto il peso dei grappoli e la raccolta si preannuncia abbondante. 
Il vino - alimento indispensabile alla stessa stregua del pane, con cui spartisce, nel rito dell'Eucarestia, la medesima dimensione sacra - non mancherà nelle case dei ricchi, ma nemmeno alla tavola dei più poveri e già  l'odore inebriante del mosto rallegra gli animi di tutti.
Settembre si apre, dunque, con un'immagine piena di speranza, la migliore per accogliere con ottimismo l'autunno che avanza ormai rapidamente.





lunedì 1 agosto 2016

Tutto l'anno in una vetrata: agosto



Il tempo passa e siamo arrivati ormai ad agosto, il mese destinato nel calendario romano, a celebrare l'imperatore Augusto, il mese attualmente dedicato al riposo e alle vacanze. Tutti (o quasi tutti)  in ozio al mare o ai monti... 
Non è, certo, così nel medioevo  quando il tempo e i Mesi dei calendari figurati sono scandito dai ritmi sempre uguali e senza soste del lavoro nei campi.
Nel calendario che ho scelto per quest'anno - la vetrata con il ciclo dei Mesi realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della Cattedrale di Chartres - Agosto è raffigurato come un contadino impegnato nel faticoso compito della battitura del grano.



Per difendersi dalla calura, si è tolto la camicia e ora, a torso e piedi nudi, batte le spighe stese a terra per farne uscire i chicchi  con il correggiato, un attrezzo in legno conosciuto fin dall'antichità, composto da un bastone, unito all'estremità, con una striscia di cuoio, a un altro bastone più corto. 
L'ignoto artista che ha realizzato la vetrata  restituisce, con pochi tratti di grisaglia, le fattezze del contadino; gli basta, poi,  rappresentare una delle gambe appena sollevata dal suolo e il correggiato alzato - fino a superare il bordo che racchiude la scena -  nell'atto di percuotere le spighe per suggerire il movimento della battitura.
Mentre i covoni già legati, dove sono ancora appoggiati la falce e il rastrello usati per la mietitura, evocano lo spazio aperto di un campo di grano.
Poche sintetiche linee, ma di una grande potenza espressiva, hanno la forza di fare arrivare fino a noi  una scena di vita quotidiana, che, nei colori sfolgoranti della vetrata, diventa quasi senza tempo e di farci sentire partecipi della durezza del lavoro nelle campagne, sotto il sole di un agosto di otto secoli fa.






venerdì 1 luglio 2016

Tutto l'anno in una vetrata: luglio



Eccoci arrivati al settimo mese dell’anno, almeno stando al nostro calendario. 
In quello romano luglio era, invece, il quinto mese, tanto che  originariamente era denominato quintilie, fino a quando fu ribattezzato Julius in onore di Giuilo Cesare. 
Comunque, ora come allora, era associato al sole e al caldo dell'estate. 
Nei calendari medioevali, legati ai lavori dei campi, luglio è il mese della mietitura.
Ed è, appunto questa la scena che compare raffigurata negli sfolgoranti colori del calendario che ho scelto per quest'anno: la vetrata con il ciclo dei Mesi realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.




Anche qui l’ignoto artista sbaglia la scritta, "Iunius", invece di "Iulius" e la inverte con quella del mese precedente, non sbaglia, invece, la rappresentazione che è quella dell’iconografia tradizionale: luglio vi appare come un giovane contadino con una tunica bianca fermata in vita da una cintura, calzoni rossi e stivaletti verdi, mentre, con  una mano, regge il falcetto e  con l’altra isola il mannello di spighe da recidere. 
La mietitura è considerata allora una delle attività più importanti dell'anno, quella in cui il lavoro duro dei campi assume una dimensione quasi sacra: il prodotto del grano, la farina e il pane che se ne ricava rappresentano l'idea stessa del nutrimento. 
Nella scena della vetrata, basta il giallo del grano maturo, con il movimento delle spighe sottolineato dalle linee nere ottenute con la tecnica della  grisaille, a rendere l'atmosfera di una calda giornata estiva, forse proprio una di quelle del periodo di grande calura, in cui il sole si trova sotto la costellazione del Leone.
In effetti, nella parte destra della scena un grande leone rosso, raffigurato con pochi tratti sintetici come in una rappresentazione araldica sotto la scritta "Leo", rimanda al segno zodiacale del mese.
Sotto la sua protezione, con un raccolto che si prospetta abbondante, le paure, all'epoca sempre presenti, della miseria e della fame sembrano allontanarsi nell'azzurro del cielo estivo e il mese si apre alla speranza. 






mercoledì 1 giugno 2016

Tutto l'anno in una vetrata: giugno



Siamo già a metà dell’anno e visto che siamo ormai ai primi di giugno,  mi corre l’obbligo - come si sarebbe detto in altri tempi -  di sfogliare il calendario che ho scelto per quest’anno:  il Ciclo dei Mesi della vetrata realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.
Ed ecco cosa ci riserva il sesto mese dell'anno:


Stando all'iconografia medievale dei calendari, legati alle più tipiche attività agricole della stagione, giugno è il momento della fienagione.
L'ignoto artista che ha pazientemente realizzato la scena forse non sa leggere o non ha capito bene le istruzioni, tanto che  sbaglia la scritta e la inverte con quella del successivo mese di luglio.
Non sbaglia, invece, nel raffigurare con assoluta precisione la falciatura, così come la poteva vedere all'epoca nei campi, proprio nel mese di giugno, quando l'erba è più abbondante.
Il Mese è rappresentato come un giovane contadino con un cappello in testa per ripararsi dal sole, una corta tunica rossa e calzoni bianchi tagliati, per comodità, a partire dal ginocchio. 
Impugna la falce a manico lungo con le due prese che gli consentono di tenerla più saldamente possibile e ha appoggiato lì vicino gli accessori indispensabili al suo lavoro. 
Proprio dietro di sé ha messo, dentro un recipiente colmo d'acqua, la pietra molare che gli serve più volte nella giornata  per affilare la lama della falce. Accanto ha posato il martello che, insieme all'incudine portatile fissato al terreno, gli è necessario ogni giorno prima di iniziare a falciare, per battere la lama e eliminare le eventuali ammaccature causate dagli urti con le pietre del campo.
Con pochi tratti sintetici emerge tutta la verità di una scena che all'epoca doveva essere assai comune nelle campagne assolate del mese del solstizio.
Il contadino vestito di rosso, l'erba alta, suggerita con pochi tratti scuri di grisaille, l'azzurro del cielo ci dicono che l'estate si avvicina, le giornate si allungano e, forse, che anche la fatica dei campi diventa più tollerabile rispetto al freddo dell'inverno.
Insomma, ora come allora, giugno si apre alla speranza.





domenica 1 maggio 2016

Tutto l'anno in una vetrata: maggio




"Sed fugit, interea fugit, irreparabile tempus/ Ma fugge, intanto, fugge irreparabilmente il tempo..":  i versi delle "Georgiche" di Virgilio esprimono bene la sensazione del troppo rapido avanzare dl tempo.
Sembra ieri che ho iniziato a sfogliare le immagini del calendario di quest'anno - i Mesi della vetrata realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della cattedrale di Chartres - e siamo già a maggio.
Ed ecco come si presenta, sfolgorante di colori, il quinto mese dell'anno:





Come in tutti i calendari medioevali maggio è il più aristocratico dei mesi: nella sua rappresentazione non compare nessuna delle attività agricole che, nelle altre scene, caratterizzano il passare delle stagioni. 
Un nobile cavaliere con la corazza, la lancia, l'elmo di un guerriero delle crociate si è fermato per far pascolare il suo cavallo.
Il segno zodiacale del mese, i Gemelli, raffigurato da due giovani nudi che si tengono per mano e sembrano accennare a un passo di danza, occupa tutta la parte destra della scena.
Una presenza questa che, insieme all'atteggiamento tranquillo del cavallo, toglie ogni bellicosità alla rappresentazione. 
Possiamo immaginare che il guerriero, più che alla battaglia,  pensi forse di unirsi a uno di quei cortei di nobili cavalieri che, all'epoca, cominciavano già a percorrere allegramente  la campagna, ornati di rami verdi, per cantare la bellezza della stagione, la giovinezza e l' amore.
Nei primi giorni di maggio, nelle città e nelle campagne, le paure della guerra e dei saccheggi si allontanavano e il mese, che si apriva con le voci di giovani che cantavano, sembrava lasciare spazio alla speranza e alla poesia. 







mercoledì 13 aprile 2016

Il pittore e il musicista: Giorgio Morandi e Thelonious Monk



Cos'hanno in comune due artisti apparentemente diversi come l’olandese Piet Mondrian  e il bolognese Giorgio Morandi? L'ammirazione per un musicista jazz, uno dei più grandi, Thelonious Monk.
Della passione di Mondrian per il ballo, il  jazz e per Monk in particolare, ho scritto qui,
Per quanto riguarda Giorgio Morandi ricopio, invece, un articolo pubblicato nel marzo del 2012 che ho trovato recentemente riproposto su Facebook.
Vi si riporta una lettera di Morandi scritta a Thelonious Monk dopo averlo ascoltato in un concerto al Teatro Lirico di Milano il 21 aprile del 1961.
Come illustrazione ho scelto un "Paesaggio" eseguito da Morandi  nel 1962 (olio su tela  cm 30x35) e ora conservato al Museo Morandi presso la Galleria d'arte moderna di Bologna (Mambo).
Non ho certezza che sia il dipinto di cui si parla nel testo, così come non ho certezza dell'autenticità della lettera.
In ogni caso, la suggestione delle parole è davvero profonda, soprattutto se la lettura è accompagnata, in sottofondo, dal pianoforte di Thelonious Monk (il link è qui)




Ed ecco l'articolo che ho copiato da qui:

"Il 21 aprile 1961 Thelonious Monk si esibisce in un concerto al teatro Lirico d Milano.Per una fortunata coincidenza in platea siede Giorgio Morandi. 
Nasce così questa lettera che un altro artista e bibliofilo, Flavio De Marco, ha trovato frugando tra vecchie carte, ricordi e passioni incrociate. 
Ve la riproponiamo come lui ce l’ha mandata, aggiungendo di sua iniziativa alcune note preziose per comprendere la felice casualità di quell'incontro a distanza. Buona lettura!

Caro Thelonious Monk,
ho avuto occasione di ascoltarla la notte scorsa (1), grazie ad una fortunata coincidenza del tutto inaspettata. Mi trovavo a Milano per visionare alcune incisioni, destinate ad una prossima esposizione in Germania (2), e sono rimasto ospite da un amico che mi ha inviato al suo concerto. 
Nonostante la mia limitata conoscenza di questo genere di musica, sono rimasto colpito dal suo timbro musicale, così preciso e disarticolato allo stesso tempo, in grado di generare una melodia che ricorda la forma solida e granitica delle rocce del mio Appennino. 
Sedevo piuttosto vicino al palco, e ho ancora impresso il movimento delle sue dita tese come bacchette sulla tastiera, che invece di muoversi velocemente scolpivano il ritmo con un’economia di note sorprendente.

Ma le ragioni di questa lettera provengono da alcuni interrogativi recenti, a cui la sua musica, con modalità a me sconosciute, sembra rispondere. 
La ricerca artistica genera sempre domande a cui, in alcuni casi, soltanto l’autore può dare risposta, e quando questa risposta non si genera dall'interno del proprio linguaggio, l'ascolto di ieri mi conferma che può giungere dall'esterno, quando l’espressione artistica possiede la medesima forza. 
Le scrivo a riguardo una confidenza di quelle che si fanno ad una persona sconosciuta che, in un particolare momento della propria vita, si percepisce come un amico di vecchia data. Le spiego meglio. 
Da circa un mese lavoro, nella mia casa di Grizzana, ad una serie di paesaggi in cui cerco un nuovo rapporto spaziale e cromatico tra gli elementi della composizione (3). 
Così, per qualche giorno, ho installato il cavalletto nel giardino di fronte ai due alberi da cui si intravede nel retro uno scorcio della casa, costretto però a lasciare puntualmente la tela bianca dopo essermi arreso più volte. 

Ragionavo sull'esistenza di una determinata tecnica adatta a tradurre quello che volevo fare, ovvero trovare un segno in grado di esprimere il significato che attribuiamo ad una parola come pittura, o musica nel suo caso. 
Questa mattina, sul treno che mi riportava a Bologna, ho capito che questa domanda non ha mai ragione di essere formulata, poiché la tecnica è sempre un accadimento di una visione interiore, e dunque non esiste un modo di rappresentare le cose, soltanto un modo di sentirle, nella speranza poi che questo sentimento abbia un valore universale. 
Si pensa generalmente che dato il modello ne si può ottenere la forma, in un determinato stile piuttosto che in un altro, seguendo i suggerimenti che dispiega la storia che ci precede. Ma la tecnica è un incidente, mai un progetto, poiché è proprio il discorso artistico, quello più vero e profondo, che mette in crisi la relazione tra il nostro sguardo e la realtà di tutti i giorni, giocando d’anticipo sul pensiero dell’autore, e creando ogni volta un gesto "su misura”. 
In margine alla nuda realtà, all'evidenza delle cose oggettive, lo sguardo di un artista può permettersi un certo grado di miopia, spingendo il suo sguardo nello spazio in cui il mondo che già conosciamo possiede una seconda vita. Così ogni opera d’arte non è che la possibilità di avere altri occhi, di moltiplicare una realtà non più di fronte a noi, ma scavata nel nostro vissuto, nel nostro piccolo mondo di esseri umani. 
La sua musica, se mi permette signor Monk, mi sembra di questa qualità, in grado di cogliere l’essenza di un discorso musicale calato non tanto nella capacità dell’autore di dare dignità allo strumento, quanto piuttosto del servirsene per metterlo da parte, lasciando il suono come unico protagonista della scena. 
Una stessa essenza che si rinnova nella forma, come in Bach o in Mozart, la cui arte è quella degli antichi di sempre, quella che scavalca civiltà e storia, attraverso un’utopia, tutta squisitamente umana, di dare un peso alla breve vita di un uomo. 
Con rinnovata stima e gratitudine

Suo Giorgio Morandi





1) Thelonious Monk Quartet, Teatro Lirico di Milano, 21 aprile 1961. (Thelonious Monk, piano; Charlie Rouse, sax tenore; John Ore, contrabbasso; Frankie Dunlop, batteria).

2) Morandi si riferisce alla mostra nella città di Siegen, che gli dedicherà una personale con diciannove dipinti e tredici acqueforti alla Haus Seel am Markt, conferendogli il Rubenspreis per la pittura.   
3) Morandi si riferisce ad una serie di cinque dipinti, eseguiti nel 1961, in cui si ripete il motivo della casa che spunta da dietro gli alberi. Nello specifico, il dipinto di cui parla nella lettera, è il paesaggio appartenente al Museo Morandi ("Paesaggio”, olio su tela, cm 50,5 x 30,5, 1961), parte di un gruppo di quaranta paesaggi, che dal 1959 al 1963, rappresentano il vertice dell’espressione pittorica dell’artista."






venerdì 1 aprile 2016

Tutto l'anno in una vetrata: aprile





Con i giorni lunghi al sonno dedicati /il dolce aprile viene/ quali segreti scoprì in te il poeta/ che ti chiamò crudele/ che ti chiamò crudele./ Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi/ dopo fatto l'amore/come la terra dorme nella notte/ dopo un giorno di sole/dopo un giorno di sole... (Francesco Guccini, La canzone dei dodici mesi)



"Aprile è il più crudele dei mesi...": è la frase, ormai nota, che apre "La terra desolata" di T.S. Eliot.
Tutt'altro che crudele è, invece, l'Aprile  raffigurato nei Cicli dei Mesi medioevali, come quello che ho scelto per il calendario di quest'anno.
Nei colori sfolgoranti  della vetrata, realizzata nel primo quarto del XIII secolo per il deambulatorio sud della Cattedrale di Chartres, Aprile si presenta così:


Eccolo qua: un giovane uomo sbarbato che regge nelle mani due germogli che sembra abbia appena colto dalle piante che gli stanno ai lati.
Vestito con una lunga tunica e coperto da un mantello per ripararsi dagli ultimi freddi, Aprile appare come un elegante signore che si è messo in posa, in una posizione rigidamente frontale, per ostentare meglio i primi fiori della primavera.
Un'immagine che  ben si accorda con l'etimologia del suo nome, sia che - come vogliono alcune fonti - derivi dalla parola greca aphròs, la schiuma da cui sarebbe nata Afrodite, dea della bellezza e dell'amore, protettrice ideale del mese in cui inizia la bella stagione.  
Sia che - secondo un'altra interpretazione - sia legato al verbo latino aperire, aprire, che allude allo schiudersi dei boccioli dei fiori e delle gemme degli alberi.
In ogni caso,  la rappresentazione del giovane Aprile,  nei colori smaltati della vetrata, diventa una sorta di raffigurazione iconica, quasi lo stemma di un'araldica immaginaria e senza tempo, che incarna il simbolo del risveglio di una natura che rinasce  in un ciclo che, ora come allora, immutabilmente, ogni anno ricomincia.




martedì 1 marzo 2016

Tutto l'anno in una vetrata: marzo




Anche se sono in viaggio dall'altra parte del mondo, non riuncio all'appuntamento con il calendario che ho scelto di pubblicare per quest'anno: il ciclo dei mesi, raffigurato, nel primo quarto del XIII secolo, nella vetrata del deambulatorio sud della cattedrale di Chartes.
E ora che febbraio è appena finito, ecco come appare, sfolgorante di colori, il mese di marzo:



È ancora un clima da pieno inverno quando un Marzo infreddolito, personificato da un contadino, abbigliato con una tunica lunga e un mantello con cappuccio, con le mani coperte dalle muffole, si appresta a potare i rami intricatissimi di una vite che sembra invadere tutto lo sfondo.
Un'attività pesante che richiede fatica e concentrazione: il viso, di profilo, è rivolto verso la vite, mentre il piede sporge fino a coprire uno dei bordi colorati del tondo che racchiude la scena.
La vite e il vino sono simboli cristiani ma anche un segno di abbondanza e di buon auspicio.
Come suggerisce la posa, Marzo è il mese del passaggio: avanzando porta con sé la luce e il calore del sole e, come sempre nel ciclo immutabile delle stagioni, i giorni freddi dell'inverno cederanno il passo al tepore delle belle giornate della primavera. 





martedì 9 febbraio 2016

In viaggio: Seoul




Pochi giorni per scoprire Seoul  (o Seul che dire o, meglio, scrivere si voglia), pochissimo tempo per annotare nel blog, come se fosse un taccuino, qualche lettera di uno scarno alfabeto di viaggio.

C come Capodanno
"Per tutto il mondo l'8 febbraio è il Capodanno cinese; per noi è il Seollal, il Capodanno coreano": ci dice la guida che fa la fila  con noi per aggiudicarsi il bicchiere di tè bollente e i due appiccicosi dolcetti di riso, che, secondo la tradizione, porteranno prosperità per l'anno nuovo.
Tanto più che sarà l'anno della Scimmia, preannunciato dall'oroscopo come pieno di occasioni da cogliere per chi agisca con intelligenza e  astuzia. 
Per avere fortuna c'è  bisogno solo della pazienza di aspettare il proprio turno nel gelido cortile del bel tempio buddista di Jogyesa, fondato nel 1395, ma ampiamente rifatto agli inizi del XX secolo e che, stretto tra cortine di grattacieli, sembra piccolo come un modellino e vivace come una sorta di giardino dell'Eden all'orientale con i colori accesi delle sue decorazioni, fitte di fiori e di animali che circondano le storie di Buddha (qualche informazione in più  sul tempio è qui)





F come il freddo marmato (come si dice dalle mie parti) di questi giorni, fatti di giornate secche illuminate da un pallido sole, di fiumi e laghetti gelati e di sferzate di vento che colpiscono come schiaffi. 

F come frontiera con la Corea del Nord ad appena una cinquantina di chilometri da Seoul che - non si sa se per senso degli affari o per sfida alla paura - si è trasformata nella meta di gite organizzate che portano i turisti fino alla Zona demilitarizzata che corre in una fascia di qualche chilometro lungo il 38 parallelo.

G come guardie che si danno il cambio, secondo un cerimoniale che si consuma tutti i giorni di fronte ai padiglioni dell'immenso palazzo reale di Gyeongbokung, dove il sospetto di una recita, con tanto di barbe finte e armi di latta, si smorza nell'eco prolungato e cupo del suono degli enormi tamburi, che evocano il ricordo di antichi riti e di dinastie guerriere.





H come hanbok l'abito tradizionale delle donne che spicca, con i suoi colori accesi, tra i giacconi e i cappotti scuri dei passanti e che, se indossato in  occasione delle feste, dà diritto  all'ingresso gratuito in tutti gli edifici pubblici. 
Un piccolo incentivo per salvaguardare la tradizione, che la dice lunga sulla fierezza coreana per un passato che sta velocemente scomparendo e che si cerca di far rivivere in ogni modo, con un misto di rispetto e, a volte, di fantasia.

I come indovini che predicono la sorte, estraendo da piccoli panieri le strisce di carta dove leggono o scrivono il futuro, e che si trovano piazzati dappertutto, con i loro tavolini smontabili,  nei templi come nei centri commerciali o, perfino, all'ingresso dei Musei e dei palazzi di rappresentanza.

O come orgoglio per le proprie radici, che si avverte ovunque in questa capitale di un paese che lotta per mantenere una sua identità, stretto com'è tra la Cina e il Giappone, invaso in tempi alterni dall'uno o dall'altro dei suoi scomodi vicini e tagliato in due da una guerra.
Un orgoglio che diventa racconto nelle parole delle guide o nel percorsi delle sale del Museo Nazionale che, con i loro oggetti preziosi e delicati, ripercorrono una storia, almeno per me, del tutto sconosciuta. 

R come riso, ingrediente immancabile del bibimpbap, un piatto tra i più diffusi della cucina coreana che viene servito in ciotole di pietra caldissima praticamente dappertutto, a cominciare dall'aereoporto come nei ristoranti di alta o di infima gamma (la ricetta è qui).

T come tecnologia, vanto della città e del paese, dagli inevitabili telefonini, ai videogiochi disponibili ovunque, ai maxi schermi che di notte trasformano in magie luminose le anonime facciate dei palazzi, all'avveniristico e sorprendente telecomando che spicca sulla parete di ogni stanza da bagno che si rispetti e che è capace di assicurare infinite prestazioni: dall'auto pulitura del wc, al deodorante personalizzato, al riscaldamento della seduta, alla regolazione del flusso dello sciacquone, che può trasformarsi in onda, in getto, o in poetico (si fa per dire) zampillo.

T come trasporti efficientissimi dalla metro, ai lussuosi bus-limousine riservati ai turisti, agli onesti autobus gialli e arancio che, con i loro autisti vestiti con un'austera ed elegante divisa  nera e i loro  numeri inverosimili (il 6015 è quello per l'aeroporto), percorrono chilometri e collegano ogni punto di questa sterminata città.



V come viaggio che continua e che mi costringe a interrompere i miei appunti alfabetici in attesa della prossima tappa in un altro continente.......










lunedì 1 febbraio 2016

Tutto l'anno in una vetrata: febbraio





Secondo mese dell'anno e secondo foglio del calendario che ho scelto per il 2016: il Ciclo dei mesi raffigurato, nel primo quarto del XIII secolo, nei colori splendenti della vetrata del deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.
Ed ecco la scena di cui è protagonista "Februs", febbraio:





"Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto": dice il proverbio che si riferisce al periodo dell'anno, in cui il gelo la fa (o la dovrebbe fare) da padrone.

Nei calendari  medioevali, nati per rendere omaggio al lavoro dell'uomo e alle attività agricole dell'anno, Febbraio è il mese del riposo dei campi, quando la terra è troppo dura per essere lavorata e i contadini si rifugiano in casa per proteggersi dal freddo.
Ed è appunto, questo il soggetto della vetrata, dominata dal rosso vivo della grande fiamma che arde nel camino. 
Seduto su una sedia "all'antica", comodamente appoggiato su un cuscino, un uomo visto di profilo, con i capelli lunghi e la barba, abbigliato con una corta tunica con un cappuccio e delle calze aderenti, tende le mani verso il fuoco e si sporge per scaldare i piedi nudi, che soffrono, più di altre parti del corpo, per i rigori della stagione. 
Accanto, si intravede un attrezzo agricolo, forse la roncola necessaria per le potature, mentre, ai piedi della sedia, è posata una brocca che potrebbe alludere alla raffigurazione dell'acquario, segno astrologico del mese.
Nessun elemento superfluo nella scena, ma i lineamenti del volto delineati con la tecnica della grisaille (qui è un link) o la postura del corpo, teso verso la fiamma, dimostrano una  profonda attenzione per i dettagli del quotidiano e una grande capacità espressiva. 

Bastano pochi sintetici tratti  per trasmettere nei secoli, nelle smaglianti tinte rosso, blu o verde della vetrata, la raffigurazione di Febbraio come  un contadino infreddolito che, al culmine dell'inverno, trova sollievo, nel chiuso di una stanza, al calore di un camino acceso e dimentica il gelo di fuori.






giovedì 28 gennaio 2016

Le misteriose "Compagne di viaggio" di Augustus Egg





The traveling companions (compagne di viaggio): è il titolo di questa tela realizzata nel 1862 dal pittore inglese Augustus Egg (1816-1863) e ora conservata nel Birmingham Museum and Art Gallery (qui).


In un vagone ferroviario di prima classe (come si capisce da qualche lussuoso particolare come i divanetti di velluto o la decorazione del finestrino) due donne sono sedute l'una di fronte all'altra, con le loro ingombranti gonne gonfiate dalla crinolina, che, per chi si aggiorna sulle riviste parigine, è allora di gran moda.
Dal finestrino, diviso in tre parti e incorniciato come un trittico, si intravede un paesaggio che è stato identificato con quello della baia di Mentone tra Francia e Italia, un luogo che il pittore conosceva benissimo per i frequenti soggiorni nel Sud imposti dalle sue precarie condizioni di salute.
La luce dell’esterno irrompe con forza nel chiuso del vagone, ma nessuna delle due viaggiatrici vi presta la minima attenzione.

Due donne che viaggiano insieme in silenzio, assorte in se stesse. 
Tutto qui? Niente affatto: il dipinto è molto più complesso e bisogna scoprirlo poco a poco.
Intanto non sappiamo che relazione leghi le due donne, tanto più che nemmeno il titolo originale del dipinto, "Travelling companions", lo svela.
Le due ragazze, che potrebbero essere amiche, compagne di scuola o di viaggio oppure semplicemente due sorelle, sono talmente somiglianti da sembrare gemelle: uguali il viso, la pettinatura, i vestiti, i cappellini posati sulle ginocchia e, perfino, il gioiello legato al collo con un nastrino. 
Eppure non si tratta di un’immagine speculare.
In effetti le differenze ci sono e per scoprirle basta "Aguzzare la vista" come suggerisce una celebre rubrica della Settimana enigmistica.
Con un po’ di pazienza e di attenzione si possono cogliere tutti i particolari che rompono l’apparente simmetria: una ha i guanti, l’altra, no; una ha accanto un mazzo di fiori, l’altra un panierino di arance; una ha i capelli raccolti, l’altra sciolti e, soprattutto, una dorme mentre l’altra è immersa nella lettura di un libro che può essere un romanzo, una raccolta di poesie o, forse, più prosaicamente, una guida di viaggio.

Donne simili, dunque, ma non uguali, racchiuse come in un bozzolo nello spazio claustrofobico del vagone in un treno che avanza verso una destinazione ignota.
Ce n’è abbastanza per creare un’atmosfera di mistero e per far diventare il dipinto - in un paese come l’Inghilterra amante come pochi di enigmi e di gialli - una vera e propria icona popolare conosciuta anche da chi ne ignora la data  o l'autore. 
Tanto da far fiorire le più varie letture.
Volete sapere quali? Ebbene, c'è chi vi ha visto una donna e il suo doppio, il doppelgänger di tanti racconti ottocenteschi (qui è un link), chi il simbolo di due diversi modi di affrontare la vita: l’attivismo della giovane che legge e la pigrizia di quella che dorme,  per arrivare a  chi, con qualche forzatura, vi ha riconosciuto niente di meno che la rappresentazione di una donna sessualmente attiva (quella che dorme con i capelli scomposti) in opposizione alla passività dell'altra che se ne sta tranquilla a leggere (per chi fosse curioso l'interpretazione è qui). Una vera miniera di informazioni sulle varie letture del dipinto  è qui.
Insomma, in quel vagone si è ambientato di tutto, anche se, in assenza di spiegazioni certe, il sottile mistero del dipinto (per fortuna) è rimasta intatto.

Quando realizza la tela Egg è un artista affermato, che apprezza il movimento dei pre-raffaelliti e che si dimostra aggiornato sulle ultime tendenze dell'arte. 
È un grande appassionato di teatro e un buon attore dilettante e  soprattutto frequenta assiduamente una cerchia di scrittori da Charles Dickens, che lo descrive come "un gentile amico sempre dolce, calmo e spiritoso", a Wilkie Collins, noto per i suoi libri, pieni di enigmi  e di colpi di scena. 
Con queste frequentazioni, col teatro nel sangue e con un nome, Augustus Egg, che  sembra uscito pari pari da un romanzo dell'epoca, non c'è da stupirsi che ami raccontare storie, tanto che nella  sua opera più famosa, il trittico intitolato "Passato e presente" (ora alla Tate Gallery), si è impegnato a narrare in pittura le conseguenze di un adulterio nella società vittoriana. 
Allora cosa ci vorrà dire con queste due enigmatiche viaggiatrici?
Probabilmente nel suo dipinto, volutamente ambiguo, ci ha lasciato soltanto una traccia, l'inizio (o, chissà, la fine) di una storia che sta a noi scoprire.
E ora, mentre il treno corre veloce e le due graziose ragazze continuano a leggere o a sognare, tocca a noi, con la nostra immaginazione, completare il racconto......





domenica 3 gennaio 2016

Tutto l'anno in una vetrata: gennaio



Quale calendario scegliere quest'anno per "Senza dedica"?
Negli anni passati il tempo è trascorso seguendo il ritmo delle scene miniate (con le "Très riches heures du Duc de Berry), dipinte (negli affreschi di Torre Aquila a Trento), scolpite (con i cicli dei mesi di Arezzo e di Ferrara) o tessute (negli arazzi Trivulzio).
Quest'anno, seguendo il suggerimento di un'amica, sono andata a scovare le immagini del calendario da sfogliare, stagione dopo stagione, tra i colori smaglianti di una delle numerose vetrate  realizzate nel primo quarto del Duecento per la cattedrale di Chartres e che formano un insieme unico per quantità, ricchezza e qualità di esecuzione (qui è un link con la descrizione dell'intero complesso)
La vetrata con i segni dello zodiaco e il ciclo dei mesi, collocata nel deambulatorio sud, sarebbe stata commissionata dal Capitolo della cattedrale prima del 1218  per ringraziare il conte Thibault VI di Chartres che avrebbe donato alla chiesa uno dei suoi poderi già coltivato a vigne. 
Il conte, in effetti, compare effigiato nella parte inferiore della vetrata mentre cavalca con uno scudo decorato dallo stemma di famiglia.
Ed ecco, allora, come appare, composto di luce e di tinte splendenti,  il mese di gennaio:



Seguendo una tradizione che sopravvive per tutto il Medioevo, il Mese è impersonato dal dio romano Giano, da cui prende il nome. 
Giano, protettore dell'inizio e della fine, degli ingressi e dei passaggi, simbolo dei cambiamenti e custode di tutte le porte, da quella della casa a quella della città, è rappresentato, con un mantello e una lunga veste all'antica, mentre sta aprendo i battenti della porta del nuovo anno.
Il dio era solitamente raffigurato con due volti, uno che guarda verso il passato e l'altro verso il futuro; qui, eccezionalmente, i volti sono addirittura tre con l'aggiunta di quello rivolto verso di noi che forse allude al breve istante del tempo presente.
Nella parte destra, il segno astrologico dell'Acquario, è rappresentato come un uomo con una corta tunica e un berretto rosso, che versa acqua da una brocca.
Una scena sintetica, dai colori brillanti, in cui bastano i tratti del volto del dio Giano a riassumere gli elementi essenziali del momento del passaggio tra il ricordo dell'anno appena trascorso e la voglia di vedere cosa succederà nell'anno appena iniziato.
Con la speranza che il cambiamento sia propizio!