martedì 9 febbraio 2016

In viaggio: Seoul




Pochi giorni per scoprire Seoul  (o Seul che dire o, meglio, scrivere si voglia), pochissimo tempo per annotare nel blog, come se fosse un taccuino, qualche lettera di uno scarno alfabeto di viaggio.

C come Capodanno
"Per tutto il mondo l'8 febbraio è il Capodanno cinese; per noi è il Seollal, il Capodanno coreano": ci dice la guida che fa la fila  con noi per aggiudicarsi il bicchiere di tè bollente e i due appiccicosi dolcetti di riso, che, secondo la tradizione, porteranno prosperità per l'anno nuovo.
Tanto più che sarà l'anno della Scimmia, preannunciato dall'oroscopo come pieno di occasioni da cogliere per chi agisca con intelligenza e  astuzia. 
Per avere fortuna c'è  bisogno solo della pazienza di aspettare il proprio turno nel gelido cortile del bel tempio buddista di Jogyesa, fondato nel 1395, ma ampiamente rifatto agli inizi del XX secolo e che, stretto tra cortine di grattacieli, sembra piccolo come un modellino e vivace come una sorta di giardino dell'Eden all'orientale con i colori accesi delle sue decorazioni, fitte di fiori e di animali che circondano le storie di Buddha (qualche informazione in più  sul tempio è qui)





F come il freddo marmato (come si dice dalle mie parti) di questi giorni, fatti di giornate secche illuminate da un pallido sole, di fiumi e laghetti gelati e di sferzate di vento che colpiscono come schiaffi. 

F come frontiera con la Corea del Nord ad appena una cinquantina di chilometri da Seoul che - non si sa se per senso degli affari o per sfida alla paura - si è trasformata nella meta di gite organizzate che portano i turisti fino alla Zona demilitarizzata che corre in una fascia di qualche chilometro lungo il 38 parallelo.

G come guardie che si danno il cambio, secondo un cerimoniale che si consuma tutti i giorni di fronte ai padiglioni dell'immenso palazzo reale di Gyeongbokung, dove il sospetto di una recita, con tanto di barbe finte e armi di latta, si smorza nell'eco prolungato e cupo del suono degli enormi tamburi, che evocano il ricordo di antichi riti e di dinastie guerriere.





H come hanbok l'abito tradizionale delle donne che spicca, con i suoi colori accesi, tra i giacconi e i cappotti scuri dei passanti e che, se indossato in  occasione delle feste, dà diritto  all'ingresso gratuito in tutti gli edifici pubblici. 
Un piccolo incentivo per salvaguardare la tradizione, che la dice lunga sulla fierezza coreana per un passato che sta velocemente scomparendo e che si cerca di far rivivere in ogni modo, con un misto di rispetto e, a volte, di fantasia.

I come indovini che predicono la sorte, estraendo da piccoli panieri le strisce di carta dove leggono o scrivono il futuro, e che si trovano piazzati dappertutto, con i loro tavolini smontabili,  nei templi come nei centri commerciali o, perfino, all'ingresso dei Musei e dei palazzi di rappresentanza.

O come orgoglio per le proprie radici, che si avverte ovunque in questa capitale di un paese che lotta per mantenere una sua identità, stretto com'è tra la Cina e il Giappone, invaso in tempi alterni dall'uno o dall'altro dei suoi scomodi vicini e tagliato in due da una guerra.
Un orgoglio che diventa racconto nelle parole delle guide o nel percorsi delle sale del Museo Nazionale che, con i loro oggetti preziosi e delicati, ripercorrono una storia, almeno per me, del tutto sconosciuta. 

R come riso, ingrediente immancabile del bibimpbap, un piatto tra i più diffusi della cucina coreana che viene servito in ciotole di pietra caldissima praticamente dappertutto, a cominciare dall'aereoporto come nei ristoranti di alta o di infima gamma (la ricetta è qui).

T come tecnologia, vanto della città e del paese, dagli inevitabili telefonini, ai videogiochi disponibili ovunque, ai maxi schermi che di notte trasformano in magie luminose le anonime facciate dei palazzi, all'avveniristico e sorprendente telecomando che spicca sulla parete di ogni stanza da bagno che si rispetti e che è capace di assicurare infinite prestazioni: dall'auto pulitura del wc, al deodorante personalizzato, al riscaldamento della seduta, alla regolazione del flusso dello sciacquone, che può trasformarsi in onda, in getto, o in poetico (si fa per dire) zampillo.

T come trasporti efficientissimi dalla metro, ai lussuosi bus-limousine riservati ai turisti, agli onesti autobus gialli e arancio che, con i loro autisti vestiti con un'austera ed elegante divisa  nera e i loro  numeri inverosimili (il 6015 è quello per l'aeroporto), percorrono chilometri e collegano ogni punto di questa sterminata città.



V come viaggio che continua e che mi costringe a interrompere i miei appunti alfabetici in attesa della prossima tappa in un altro continente.......










lunedì 1 febbraio 2016

Tutto l'anno in una vetrata: febbraio





Secondo mese dell'anno e secondo foglio del calendario che ho scelto per il 2016: il Ciclo dei mesi raffigurato, nel primo quarto del XIII secolo, nei colori splendenti della vetrata del deambulatorio sud della cattedrale di Chartres.
Ed ecco la scena di cui è protagonista "Februs", febbraio:





"Febbraio, febbraietto mese corto e maledetto": dice il proverbio che si riferisce al periodo dell'anno, in cui il gelo la fa (o la dovrebbe fare) da padrone.

Nei calendari  medioevali, nati per rendere omaggio al lavoro dell'uomo e alle attività agricole dell'anno, Febbraio è il mese del riposo dei campi, quando la terra è troppo dura per essere lavorata e i contadini si rifugiano in casa per proteggersi dal freddo.
Ed è appunto, questo il soggetto della vetrata, dominata dal rosso vivo della grande fiamma che arde nel camino. 
Seduto su una sedia "all'antica", comodamente appoggiato su un cuscino, un uomo visto di profilo, con i capelli lunghi e la barba, abbigliato con una corta tunica con un cappuccio e delle calze aderenti, tende le mani verso il fuoco e si sporge per scaldare i piedi nudi, che soffrono, più di altre parti del corpo, per i rigori della stagione. 
Accanto, si intravede un attrezzo agricolo, forse la roncola necessaria per le potature, mentre, ai piedi della sedia, è posata una brocca che potrebbe alludere alla raffigurazione dell'acquario, segno astrologico del mese.
Nessun elemento superfluo nella scena, ma i lineamenti del volto delineati con la tecnica della grisaille (qui è un link) o la postura del corpo, teso verso la fiamma, dimostrano una  profonda attenzione per i dettagli del quotidiano e una grande capacità espressiva. 

Bastano pochi sintetici tratti  per trasmettere nei secoli, nelle smaglianti tinte rosso, blu o verde della vetrata, la raffigurazione di Febbraio come  un contadino infreddolito che, al culmine dell'inverno, trova sollievo, nel chiuso di una stanza, al calore di un camino acceso e dimentica il gelo di fuori.